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La chiesa dei SS. Nazzaro e Celso posta sulla Strada Levata, a metà della leggera salita che approda a Piazza del Borgo, sorse, secondo il Campi, nel 1025. La struttura dei SS. Nazzaro e Celso è a pianta basilicale con il santuario orientato originariamente verso est, come tutte le altre chiese medioevali; è suddivisa in tre navate con sei campate a terminazione quadrata le laterali e semiottagonale la centrale. Il sistema dei sostegni delle sei campate quadripartite è ben identificabile ed è caratterizzato, sotto il rivestimento in intonaco seicentesco, da pilastri cilindrici in laterizio, con un costolone semicilindrico verso il centro, entrambi ricoperti di intonachino bianco dato a tutta la chiesa nel 1607, come visibile nel secondo pilastro a sinistra e nel quarto a destra; anche nelle navate laterali le paraste minori reggono i costoloni divisori e sono aggiunte. L’ultima arcata sostiene la volta a botte del presbiterio, che suggerisce una realizzazione degli inizi del ‘600, posteriore all’inversione dell’abside.
All’esterno gli elementi romanici determinanti sono la torre campanaria, il portale laterale, l’ arco gotico in laterizio a lato, la cornice saliente della originaria facciata verso ovest. La torre campanaria è l’elemento più appariscente di tutta la fabbrica ed è la più antica della città, insieme a quella di S. Dalmazio, e si erge sulla prima campata sud-est a base quadrata, oggi presso l’ingresso; appoggia sui due pilastri (ad arcata ridotta) e sui due muri perimetrali, dove un tempo era l’abside laterale quadrata. La torre si suddivide in tre piani, con finestre bifore e la cuspide.
Il portale laterale sul fianco sud, ha quattro colonnine in pietra e arenaria grigia. Il vicino arco gotico in cotto trecentesco creato con la cappella di S. Orsola per iniziativa di Guido di Alberico Barattieri nel 1343.
L’ arco gotico in mattoni rosso intenso, con motivi stellati nell’estradosso, richiama una manifattura trecentesca, che è stato visibilmente tamponato ingresso autonomo alla cappella di S. Orsola fondata da, oggi in forme tardocinquecentesche. Sul muro esterno la cappella è segnalata da due stemmi Barattieri, mentre sulla parete rialzata è stata inserita una cornice saliente a denti di sega con mensoline, duecentesca da ricondursi al muro della controfacciata originaria posta a ovest. Questi sono gli elementi più appariscenti e inconfutabili dell’origine medioevale della chiesa, sulla quale, come altrove, ogni intervento successivo si è sovrapposto senza cancellare i precedenti, che in parte sono sempre stati visibili. A questi elementi si aggiungono le due finestre monofore, con semicolonne e archetto in pietra, rimaste sul muro esterno destro della navata centrale in corrispondenza della prima e della quinta campata; non sono visibili dall’interno perchè tamponate e schermate da due finte finestre dipinte.
In conclusione la chiesa dei SS. Nazzaro e Celso si uniforma alle peculiarità del romanico piacentino: la struttura a pianta basilicale senza transetto, l’assenza dei matronei, l’essenzialità della decorazione, l’uso prevalente del mattone al posto della pietra. Furono eseguiti ulteriori interventi di adeguamento fino alla seconda metà del secolo XVI, quando avvenne il maggiore e radicale cambiamento: l’inversione dell’abside a ovest e la conseguente costruzione della facciata con ingresso a est; la nuova abside fu costruita secondo lo schema aggiornato e funzionale a pianta quadrata, che meglio si prestava all’inserimento di un coro ligneo.
Nel 1689 furono effettuati, per mano del maggiore architetto piacentino del momento Giacomo Agostini, importanti lavori di adeguamento della facciata con l’inserimento sopra la porta del cartiglio con lo stemma della Congregazione del SS. Sacramento, consistente nel calice con l’ostia, e la scritta “PER QUEM HAEC / OMNIA” tuttora esistente.
Il ciclo di decorazione artistica più importante però è quello del rivestimento di stucchi della chiesa del 1709-1720, che tuttora prevale sulla struttura medioevale.
Per gli interventi nella chiesa dei SS. Nazzaro e Celso il primo artista ad essere chiamato nel 1709 per la decorazione del coro è Francesco Cremona, che aveva appena lavorato nella chiesa di S. Teresa e per la facciata di S. Maria del Carmine in via Borghetto, rifatta da Giacomo Agostini. Il motivo iconografico del tendaggio con frange dorate, sollevato giocosamente da quattro angioletti laterali e da uno centrale, deriva senza dubbio dalla pittura prospettica e illusionistica, che in ambito romano trova il suo atto genetico nella cupola del Lanfranco, ma che in Emilia si afferma con i fratelli Galli Bibliena attivi a Piacenza nell’ultimo quarto del secolo e si rafforza con la presenza di pittori genovesi (Piola e Draghi) e cremonesi (Giuseppe e Francesco Natali), ma anche con Sebastiano Ricci.
Dopo questo intervento sul coro, non si poteva non portare a termine il rivestimento di tutte le pareti e delle colonne, cosa che avvenne tramite l’opera di due nuovi stuccatori: Gian Pietro Zanoni, figlio di Giovanni Michele parente del più noto Antonio, e Giovanni Antonio Inselmini, o Insermini o Sermini, appartenente a un’altra famiglia ticinese stabilitasi a Piacenza nella “colonia” degli stuccatori e residente nella parrocchia dei SS. Faustino e Giovita.
Dal 1989 è sede della Galleria d’arte Rosso Tiziano, che l’ ha restaurata con grande merito.